Ancora C. Pavese. Il tema del racconto e l'uso della prima persona evidenzia una sorta di riflessione sulla memoria e sul desiderio di evasione. Pavese immagina di svolgere un mestiere, quello del carrettiere, che, oltre a portarlo verso luoghi nuovi, assume aspetti avventurosi e favolosi: sempre sulle strade carrarecce, attraverso le colline e verso il mare, tra gente rude, cavallanti e garzoni, tra stalle, osterie e trattorie di campagna. Una vita che è una fuga.
" A quei tempi ero occupatissimo e vivevo con dei carrettieri. La testa mi risuona ancora degli urli grossi di comando e del cigolìo delle martinicche. Tenevamo il nostro raduno nel cortile e sotto l'androne di un certo stallaggio che, le sere di partenza, era una bolgia di lanterne e di voci irose come staffilate. Fantesche e garzoni che ci davano l'avvio, anelavano a vederci in strada, perché soltanto allora potevano fermarsi sulla soglia a respirare: lo schiocco delle nostre fruste era la loro liberazione.
Anche per noi la staffilata larga, sparata fuori dell'androne sul fianco dei cavalli, era il segnale che cominciavamo la condotta e la notte. Quante notti passai così accovacciato sui sacchi, dondolandomi negli occhi con la lanterna che nel dormiveglia non distinguevo più se era appesa sotto il carro precedente o se fosse per caso la mia. Ci si sentiva trasportare, si sentiva tutto il carro e il cavallo muoversi e stirarsi sotto; certi tratti dello stradale li riconoscevo ai sobbalzi.
Con tanta strada che feci in quegli anni, dormii quasi sempre. Dormii di notte e dormii di giorno, sotto il sole, sotto la pioggia, raggomitolato o seduto. I vecchi conducenti dicono che da giovani si dorme volentieri sul carro perché si è più forti e più sani e si cede al sonno: a me piaceva viaggiare in carovana perché c'era sempre qualche vecchio che vegliava e pensava lui alla strada. Secondo con chi eravamo in condotta, si faceva la tavolata o si caricava di aglio o di acciuga la pagnotta e via subito.
L'uno e l'altro aveva il suo bello."
Tuttavia il racconto si chiude con una annotazione ironica e amara:<< adesso di notte si sentono passare le macchine, e la roba la spediscono col treno: faranno più presto, ma non è più un mestiere.
Finirà che sulle strade crescerà l'erba, e le osterie chiuderanno>>.
L'arte di Pavese è vita al punto che, chi lo sa capire, quando si racconta come artista, dice le stesse cose di quando si presenta esposto a situazioni differenti: l'amore. Molti suoi giudizi sull'arte, e su come può essere riveduta la forma mentis in proposito sono tutt'oggi confermati da molti, sebbene con minore sincerità. ( Ferie d'agosto, Torino, Einaudi, 1968 )
Nessun commento:
Posta un commento