Pavese ricorda le proprie avventurose vicende con Pale , un ragazzo di paese, esperto nella caccia alle serpi, che cerca di snidare emettendo un lungo sibilo. A un tratto nell'aria risuona il richiamo acuto e lamentoso della madre di Pale e per un attimo, in un sospeso silenzio, i due ragazzi vengono colti dal terrore di aver risvegliato le potenze dell'aria e dei sassi. In effetti, il racconto, apparentemente semplice e che potrebbe essere letto come il resoconto di un'avventura fra i canneti di un fiume, diventa emblematico per identificare la natura selvaggia con il sentimento del proibito del peccato.
" Chi fossero i miei compagni di quelle giornate, non ricordo. Erano tanti i ragazzi che conoscevo di qua e di là, ma ricordo Pale, da Pasquale. Questo Pale -- lungo lungo, con una bocca da cavallo -- quando suo padre gliene dava un fracco ( tante botte ) scappava di casa e mancava per due o tre giorni; sicché quando ricompariva , il padre era già all'agguato con la cinghia e tornava a spellarlo, e lui scappava un'altra volta e sua madre lo chiamava a gran voce, maledicendolo, da quella finestra scrostata che guardava sui prati, sui boschi del fiume, verso lo sbocco della valle.
Così un giorno salimmo sulla collina non so bene se fossimo soli, io e Pale. Quel giorno eravamo agitati perché l'avevamo impiegato a fare una ricerca metodica della serpe; qualche rana era schizzata via da sotto le pietre rimosse, le mie caviglie erano tutte un livido, a Pale colava dai denti il sugo verde di un'erba che aveva voluto masticare. Poi nel silenzio delle piante e dell'acqua, s'era sentito, ma nitido, sul vento un urlo di richiamo.
Ricordo che tesi l'orecchio, casomai chiamassero me. Ma l'urlo non si ripeté. Lasciammo la bassa del fiume e salimmo la costa ben sapendo che la caccia era per la vipera. Fischiettavo. Non è così che si chiama la vipera, -- brontolò il mio socio, fermandosi. C'eravamo muniti di due verghe a forcella per inchiodare la bestia e ammazzarla. Pale si fermò d'improvviso davanti un roveto e cominciò a sibilare piano piano, ma la vipera non usciva. Intanto una voce inumana strillo: Pale Pale !
Pale mi prese per il polso e gridò: Scappa! Fu una corsa sola fino alla piana; ci gridarono - la vipera!-
per eccitarci, ma la nostra paura era qualcosa di più complesso, un senso di avere offeso le potenze, che so io, dell'aria e dei sassi.
Il mitico mondo dell'infanzia evocato come un bene perduto ma ripescato come un valore lucido per i fatti che lo resero protagonista in quella piana è tipicamente pavesiano. Fatti e fantasie d'infanzia rappresentano un continuo cimento con la realtà quotidiana soprattutto per chi , afferrato ai sogni come Pavese, sa che non può più fare a meno di ascoltarli.
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