venerdì 13 dicembre 2013

La valigia del barone viterbo

Anania Viterbo, uomo di severi costumi, candidamente perso nella bufera della guerra, fuggiasco dall'Italia e internato in Svizzera con la sua <<toma>> e l'ingegnoso uso che ne fu, rimanda ad un insegnamento boccacciano: l'intelligenza come capacità precipua dell'individuo. Tra i tanti furbeschi personaggi di Piero Chiara il barone Viterbo risalta per il suo candore e per la serena decisione di salvare i propri averi, passando, con aria serafica, e con il distacco di un gran signore, attraverso la guerra; si aggira ironico e sornione sul gran teatro dell'Europa con il suo prezioso tesoro, quell'intoccabile <<toma>>.

"   Lo conobbi in una adunata per lo <<spidocchiamento>>. Consisteva in una doccia calda disinfettante, in fondo piacevole, alla quale ci sottoponemmo a gruppi, giovani e vecchi, dentro un macello pubblico. Purtroppo la disinfestazione si estese anche agli oggetti personali e ai bagagli che vennero passati a un getto bollente di formalina vaporizzata. Poiché la formalina aveva un effetto riduttivo, ebbi l'accorciamento della cintura dei pantaloni e una minima riduzione delle scarpe. Ma quelli che avevano bagaglio, come il barone Viterbo, dovettero subire oltre che i comuni restringimenti, l'avaria di altri effetti che tenevano nelle valigie e il ridimensionamento delle valigie stesse. Appena vestito cercai di aiutarlo nell'impresa di ricollocare ogni cosa al suo posto nella valigia. Ma non vi era modo di venirne a capo: almeno un terzo del suo corredo rimaneva fuori. Il barone Viterbo che era professore universitario di scienze esatte, non si dava per vinto e svuotava la valigia, per ricominciare da capo a riempirla. Mentre lo aiutavo a  stivare gli indumenti, mi venne in mano un disco pesantissimo del diametro di una trentina di centimetri e dello spessore di almeno dieci, chiuso in una fodera di tessuto nero lucido. Non riuscendo a capire di che cosa si trattasse, avvicinai al naso il misterioso oggetto. -Si- disse benevolmente il barone. -E' una specie di Asiago, una toma. Uno dei tanti formaggi che si fanno dalle nostre parti, in Friuli. Nella fuga ho pensato anche  a una scorta di viveri. Prese dalle mie mani l'involto, lo ripose con cura nella valigia.
Avere in quelle circostanze un formaggio simile, era quasi come essersi portato dietro un pezzo di casa: una fortuna alla quale pensavo di partecipare per cui non perdevo d'occhio il barone . Passò una settimana e il barone pur avendo aperto la valigia con la chiave che conservava in taschino aveva tolto dei fazzoletti e una sciarpa di lana. Viaggiammo insieme  quasi un mese e la scarsità di cibo si era aggravata da un freddo intenso, ebbi la certezza che il buon formaggio ci avrebbe salvati entrambi, non fu così. Al momento dell'addio, quando vidi che il barone mi metteva nelle mani un pacco, sperai che mi assegnasse almeno una fetta del formaggio. Ma si trattava solo di una Bibbia. L'internamento  in Svizzera durò quasi due anni, durante i quali riuscii ad avere notizie del barone, che passando da un luogo ad un altro era finito a Huttiwil  come professore in un campo universitario.
Finita la guerra cominciarono i rientri in patria. un giorno di agosto mentre facevo la coda alla dogana di Chivasso sentii una voce già udita un'altra volta: era il barone. Lo abbracciai e mi offersi di portargli la valigia.- Grazie- mi disse e mi scusi per il formaggio, non fu per ingordigia che non gliene feci parte. Le dirò che quella toma era un forziere: l'avevo fatta impastare includendovi trecento marenghi ( monete d'oro)





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