Il rapporto tra cinema e moda si è sviluppato su due linee, ma con tempi differenti. In un primo tempo i costumisti del cinema influenzano la moda, secondo un rapporto di influsso che va dal film al reale;
poi, invece, tocca agli stilisti nel senso che il cinema adotta le loro creazioni. Di fatto la figura del costumista si afferma intorno agli anni '20 e soltanto dal '48 esiste un Oscar per i costumi. Dieci anni dopo ogni studio cinematografico ha un dipartimento dei costumi, il cui responsabile svolge un ruolo di primo piano nella riuscita del film. Il primo è Howard Greer (Paramout Pictures), che impiega 200 sarti professionisti. Rispetto al creatore di moda, il costumista oltre che conoscere bene la storia del costume e della moda, adatta attraverso l'abito lo stato sociale e la psicologia del personaggio al codice della fotografia e del cinema, in sinergia con tutta l'equipe operativa. Il contatto più evidente tra moda e cinema passa per l'attore che indossa un certo abbigliamento sprigionando un potere evocativo che produce desideri emulativi nel pubblico. Dal cinema partono le grandi ondate di moda-revival: la diffusione degli impermeabili alla Humphrey Bogart o alle gonne midi di tweed in stile anni '30 disegnate Theadora Van Runkle e indossate da Faye Dunaway in Gangster Story. Tra la moda e lo star-system esistono molte analogie, a partire dal fatto che l'una e l'altro sono costruzioni artificiali, basate sull'estetizzazione e messa in scena del corpo. Piero Tosi ha sentenziato che i due mondi sono completamente diversi: <<Chi nasce costumista non potrà mai essere stilista e viceversa>>. Il fallimento a Hollywood di alcuni celebri cuoturier, come Chanel, sembra dargli ragione. Tuttavia è difficile negare che , a partire dagli anni '60, gli stilisti abbiano influenzato largamente lo schermo, che ha adottato sempre più spesso i loro modelli firmati per ottenere un effetto sulla realtà.( Roberto Nepoli).
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